L’articolo
3 della direttiva 98/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del
16 febbraio 1998, volta a facilitare l’esercizio permanente della
professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui
è stata acquistata la qualifica, dev’essere interpretato nel senso
che non
può costituire una pratica abusiva il fatto che il cittadino di uno
Stato membro si rechi in un altro Stato membro al fine di acquisirvi
la qualifica professionale di avvocato a seguito del superamento di
esami universitari e faccia ritorno nello Stato membro di cui è
cittadino per esercitarvi la professione di avvocato con il titolo
professionale ottenuto nello Stato membro in cui tale qualifica
professionale è stata acquisita.
E'
quanto sancito ieri, in data 17/7/2014, dalla grande sezione della
Corte Di Giustizia Dell'Unione Europea che mette una pietra tombale
sulla questione degli "Abogados". La "via spagnola"
è sempre stata ed è perfettamente legittima.
La
questione si aprì nel 2009, con l'emanazione della sentenza
Cavallera ( C-311/06 ). Il sig. Cavallera, con il proprio titolo
di laurea in ingegneria che non dava accesso alla professione di
ingegnere in Italia si recò in Spagna dove, senza superare esami
integrativi preventivi all'equiparazione del suo titolo italiano al
corrispondente spagnolo, chiese un'omologazione del titolo di studio
"meramente burocratica". Il Sig. Cavallera, in virtù
dell'omologazione, ottenuta però senza incrementare il proprio
patrimonio conoscitivo in terra iberica, potè iscriversi ad un
ordine degli ingegneri spagnolo perchè in Spagna non serviva
superare un esame di stato dopo l'università, per potersi iscrivere
ad un ordine degli ingegneri. In virtù di tale iscrizione, grazie
alla direttiva sul riconoscimento qualifiche ( fu 89/48 ora 2005/36 )
chiese successivamente pure l'iscrizione ad un ordine degli ingegneri
italiano ma la Corte Di Giustizia bocciò la pratica ritenendola
illegittima.
Gli
ordini degli avvocati italiani, da quel momento, sulla scia di un
parere del CNF si sentirono pertanto in diritto di denegare le
iscrizioni agli albi forensi italiani a laureati in giurisprudenza
che, previa omologazione del proprio titolo di studio italiano al
corrispondente spagnolo, avessero ottenuto il diritto di iscriversi
all'ordine degli avvocati spagnolo e, pertanto, ai sensi della
direttiva 98/5, di iscriversi anche ad un ordine italiano. Ciò
adducendo un presunto abuso del diritto da parte degli
"italoabogados".
Ciò
che CNF ed ordini forensi hanno sempre trascurato è che qualsiasi
laureato in giurisprudenza in Italia che abbia ottenuto
l'omologazione del proprio titolo di studio al corrispondente
spagnolo di licenciado en derecho, prima di ottenere tale
omologazione, ha dovuto necessariemente ottenere qualifiche
supplementari superando una serie di esami in diritto spagnolo.
Solo in seguito al superamento di tali esami è infatti normalmente
concessa l'omologazione e, quindi il diritto ad accedere alla
professione in Spagna e, ai sensi della direttiva 98/5, anche in
Italia. Ciò fà la differenza rispetto al caso "Cavallera"
( l'omologazione del cui titolo non fu, invece subordinata al
superamento di esami integrativi ), impropriamente richiamato da
ordini forensi e CNF.
La
sentenza Koller, C-118/09, pronunciata a fine 2010, già aveva
chiarito la legittimità del percorso spagnolo, ribadita a fine 2011
nella sentenza Tortorici, dalla Corte di Cassazione. Nel 2012 alcuni
ordini forensi furono addirittura condannati dall'Antitrust per
"intese restrittive della concorrenza" operate contro
abogados italiani cui furono impedite le iscrizioni poichè venivano
richiesti, ai fini dell'iscrizione, requisiti atipici. Ciò
nonostante nel 2013 il CNF sentì la necessità di adire la Corte Di
Giustizia UE sulla medesima questione su cui ieri, 17/7/2014, è
stata posta una pietra tombale, essendo a parere della Corte
Di Giustizia Europea "(..) il
diritto dei cittadini di uno Stato membro di scegliere, da un lato,
lo Stato membro nel quale desiderano acquisire il loro titolo
professionale e, dall’altro, quello in cui hanno intenzione di
esercitare la loro professione (..) inerente all’esercizio, in un
mercato unico, delle libertà fondamentali garantite dai Trattati
(..)".
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